Vico Equense

Vico Equense sorge su un blocco tufaceo e calcareo, ad un’altezza media di 90 metri: si affaccia sul mar Tirreno, nella parte meridionale del golfo di Napoli, all’inizio della costiera sorrentina, per arrivare poi ad un’altezza massima di 1.444 metri con la cima del monte Sant’Angelo, la più alta dell’intera catena dei monti Lattari; per un breve tratto, montuoso e scosceso verso il mare, la città è bagnata anche dalle acque del golfo di Salerno, lungo la costiera amalfitana, nelle vicinanze dell’arcipelago de Li Galli. Con una superficie di quasi 30 chilometri quadrati, Vico Equense è il più vasto comune della penisola sorrentina, nonché l’ottavo dell’intera provincia[3].

La spiaggia con l’antico borgo di Aequa

Le prime testimonianze di vita nell’area del comune di Vico Equense risalgono al periodo del VII secolo a.C., grazie a ritrovamenti di corredi funerari facenti parte di una necropoli scoperta negli anni sessanta del XX secolo[4]; la prima citazione scritta riguardante il territorio invece risale al I secolo, quando Silio Italico, nel poema Punica, cita un certo guerriero di nome Murrano, proveniente dall’Aequana, un territorio vicino Sorrento[4]: documenti di epoca medievale confermano poi l’esistenza del borgo di Aequa, nel tratto di costa che oggi viene identificato oggi nella frazione di Seiano[5]. Tuttavia doveva anche esistere un piccolo borgo, a forma di impianto ippodameo, sul pianoro dove sorge l’attuale città, di cui non si conosce il nome e che andò spopolandosi poi durante il medioevo: a testimonianza di questa ipotesi è un documento del 1213 che indica una località denominata ad Vicum dicitur e della struttura viaria attuale che ricorda quello dell’antico borgo[4].

Con l’arrivo degli Aragonesi e poi degli Angioini, il vecchio paese sul pianoro ritorno a vivere, grazie anche allo spopolamento dell’abitato di Aequa, divenuto oggetto di razzie da parte dei pirati: vennero così costruite mura, al cui interno fu poi edificata la cattedrale con annesso episcopio ed il castello[4]. Con il passare degli anni intorno al centro si svilupparono, sparsi anche sui monti circostanti, spesso intorno a chiese, piccoli borghi, che costituisco le attuali frazioni; fu tuttavia nel XIX secolo che si ebbe un totale riassetto dell’urbanistica: vennero infatti eliminate le mura e fu aperta la strada che collegava Castellammare di Stabia con Sorrento; fu in questo periodo inoltre che iniziò la forte vocazione turistica del paese, soprattutto durante il periodo estivo, sia come luogo balneare che termale, grazie alla presenza del complesso termale dello Scrajo[4].

Nel 1906 l’isolamento terminò con l’apertura della linea tranvia Castellammare di Stabia – Sorrento[6], sostituita poi nel 1948 dalla ferrovia Torre Annunziata – Sorrento che collega la costiera sorrentina con Napoli[7]; durante gli anni sessanta e settanta del XX secolo Vico Equense fu interessata da un notevole sviluppo edilizio che comunque non intaccò la fisionomia urbana: danni si ebbero con il terremoto del 1980, successivamente riparati.

Monumenti e luoghi d’interesse

La chiesa della Santissima Annunziata

La chiesa della Santissima Annunziata è stata la cattedrale della diocesi di Vico Equense fino al 1818 quando è stata soppressa: eretta agli inizi del XIV secolo su un costone roccioso a strapiombo sul mare, è uno dei rarissimi esempi dell’architettura gotica, all’interno, della costiera sorrentina mentre la facciata è in stile barocco, ricostruita nel XVIII secolo; l’interno è suddiviso in tre navate e conserva tele di Giuseppe Bonito, Jacopo Cestaro e Francesco Palumbo e l’urna funeraria di Gaetano Filangieri[9]. Due sono i santuari sul territorio vicano: il santuario di Santa Maria del Toro fu costruito nel XVI secolo a seguito di diverse leggende e avvenimenti miracolosi attribuiti all’affresco della Vergine col bambino: restaurato all’inizio del XIX secolo, dopo essere stato utilizzato come stalla, il santuario è a unica navata e conserva una statua di Maria con Gesù bambino che stringe tra le mani un giglio d’argento, affreschi di Francesco Solimena ed altre numerose opere pittoriche[10]. Il Santuario di San Michele Arcangelo si trova sul monte Faito, nei pressi del luogo in cui l’arcangelo Michele apparve ai santi eremiti Catello e Antonino: ricostruito più volte, l’attuale edificio è stato consacrato il 24 settembre 1950 e si presenta a navata unica in stile contemporaneo; ha un altare in legno, una statua di san Michele realizzata da Edoardo Rubino e due statue raffiguranti san Catello e sant’Antonino opera di Francesco Jerace; l’originale statua in marmo di san Michele, famosa per il miracolo della sudorazione della manna, risalente al VI secolo, è conservata all’interno della concattedrale di Santissima Maria Assunta e San Catello a Castellammare di Stabia[11]. La chiesa dei Santi Ciro e Giovanni è la principale della città: consacrata nel 1774, al suo intero viene venerato il patrono di Vico Equense, ossia san Ciro; ha croce latina, conserva una statua lignea dell’Immacolata, una tela raffigurante la deposizione, opera di Antonio Asturi e due busti reliquiari in argento, rispettivamente di san Ciro, risalente al XVII secolo e di san Giovanni, realizzato nel 2008[12]. Caratteristica è la cappella di Santa Lucia, nella frazione di Massaquano, che conserva un ciclo di affreschi del tardo trecento di scuola giottesca: le raffigurazioni riguardano l’assunzione di Maria, scene della vita di santa Lucia e quelle di Gesù[13]. Numerose poi sono altre chiese sparse per le varie frazioni della cittadina.

Il castello Giusso

Edificato tra il 1284 ed 1289, si narra per volere del re Carlo II d’Angiò, ma più probabilmente del feudatario Sparano di Bari, il castello Giusso è stato sia utilizzato come struttura militare che per uso residenziale: viene così chiamato dal nome dei proprietari Luigi ed il figlio Girolamo Giusso, che durante il XIX secolo eseguirono numerosi lavori di restauro e abbellimento, come la costruzione di una cappella e la creazione di un ciclo di affreschi all’interno di alcuni saloni; il 21 luglio 1788, morì al suo interno il giurista napoletano Gaetano Filangieri[14].

L’Antiquarium Silio Italico è un museo archeologico fondato nel 1966 che raccoglie principalmente i corredi funerari di una necropoli, scoperta a Vico Equense durante la costruzione di alcuni palazzi negli anni sessanta e settanta: si tratta di buccheri, oggetti in bronzo, ceramiche a figure nere e rosse, oltre ad armi e vasi, di cui uno caratteristico poiché riporta caratteri dell’alfabeto nucerino[15]. Il museo mineralogico campano è stato inaugurato il 22 ottobre 1992 ed ospita una collezione di minerali, raccolti in oltre a cinquant’anni di ricerca, dall’ingegnere Pasquale Discepolo: nel corso del tempo si è arricchito di numerose donazioni come meteoriti, fossili ed una sezione dedicata interamente alle gemme[16]. Il museo di arte sacra di San Vito offre un’esposizione di oggetti sacri realizzati tra il XVI e XVIII secolo, provenienti da diversi regioni italiane: oltre a dipinti, si osservano anche opere lavorate in corallo ed in argento[17].

Tra le attrazioni naturalistiche della zona, le terme dello Scrajo, fondate nel 1895, grazie a diversi sorgenti di acqua solfurea, offrono terapie per diverse patologie sia dermatologiche che respiratorie: grazie alla vicinanza del complesso al mare, viene sfruttato anche per il turismo balneare[18]; sulle spiagge della città è possibile scorgere torri di vedetta, alcune ridotte a ruderi e resti di una villa romana sulla spiaggia del Pezzolo[4]. Non lontano dalle terme dello Scrajo, al confine con Castellammare di Stabia, è il banco di Santa Croce, un secca che varia tra nove ed i sessanta metri di profondità, tra le più belle del Mar Mediterraneo, che ospita diverse specie sia animali che vegetali, tra cui il corallo rosso, difficilmente individuabile nel bacino mediterraneo[19]. Il paesaggio collinare e montano offrono invece itinerari escursionistici, come nelle frazioni di Arola o Santa Maria a Castello, fino ad arrivare alle vette più alte della catena dei monti Lattari, come il monte Comune, Faito e Sant’Angelo[4].

FONTE: Wikipedia

Vico Equense, un ridente paese della Penisola Sorrentina

Scritta dal professore Salvatore Ferraro

Nel percorrere da Castellammare a Sorrento l’antica via borbonica, incuneata tra il verde degli ulivi e l’azzurro del mare, da lontano si distende sopra un banco roccioso, proteso verso il Vesuvio, Vico Equense, un’amena ed elegante stazione di soggiorno balneare. Intorno le fanno corona, quasi ad anfiteatro, tredici borgate o casali (S. Vito, Bonea, S. Andrea, Massaquano, S. Salvatore, Moiano, Ticciano, Preazzano, Arala, Fornacelle, Pacognano, Montechiaro, Seiano), immersi nel verde e dediti ad antiche attività agricole. Dall’ alto, con gli oltre 1100 m. il monte Faito, ricco di alti pini e fitti faggi, domina l’intero abitato (compreso nei suoi 30 Km2) e la penisola sorrentina ed offre frescura, riposo ed escursioni suggestive ed incomparabili tra i golfi di Napoli e di Salerno.
Si tratta, quindi, di un paese tra mari e monti, arco di mare tra lo Scraio e Punta Scutolo, che non ha una sua epopea alle spalle, come la vicina Sorrento e le opposte Amalfi e Positano, ma che pur ha avuto una sua storia secolare, che si è intrecciata con quella delle vicine città di Sorrento e di Massa Lubrense ed, in special modo, con quella di Napoli, raggiungibile ogni giorno dalle veloci feluche o tartane, costruite sui cantieri della marina di Equa (come è anche attestato dalle polizze dell’Archivio Storico del Banco di Napoli).L’antico abitato, ricordato da Silo Italico (felicia Baccho Aequana) e corrispondente all’attuale centro storico, presenta ancora oggi un impianto urbanistico con il sistema dei cardini e dei decumani, come la vicina Sorrento, e testimonia con i reperti della sua ricca e pregevole necropoli (ora conservati nell’Antiquarium) che fu abitato sin dal IX sec. a.C.
Situato su una terrazza a strapiombo sul mare e dotato di una insenatura particolarmente adatta all’approdo delle imbarcazioni, sicura e ben riparata, il centro costiero, fortemente etruschizzato, fu abitato in età preromana da mercanti piuttosto pacifici e laboriosi, con proprie usanze, riti e lingua (in alfabeto nucerino), che ebbero come primario obiettivo quello delle attività marinare e commerciali, mai tralasciate, ma non trascurarono l’agricoltura, ad essa naturalmente portati dalla feracità dei luoghi e dalla fertilità della terra.
In età romana sorsero nei, dintorni numerosi casali che ancora oggi testimoniano la presedza romana con i loro nomi prediali (Massaquano, Moiano, Ticciano, Preazzano, Pacognano e Sciano) e si diffusero lungo il litorale eleganti ville di otium. Dopo i secoli di devastazione e di crisi del Medioevo barbarico le contrade andarono gradatamente rifiorendo, aumentò la popolazione, si moltiplicarono i centri abitati di Vico Equense e di Massa Lubrense, in particolare, che divennero nel secolo XIII sedi vescovili (sino all’ inizio del 1800). La storia della Penisola sorrentina è contrassegnata da contrasti e rivalità, ora forti ora sopite, fra i tre centri maggiori: Sorrento, un tempo anche sede di un Ducato, poi città demaniale, Massa Lubrense e Vico Equense, città feudali. Nel centro storico di Vico Equense ancora oggi si stagliano la trecentesca ex-cattedrale dell’Annunziata, recentemente restaurata e riaperta al culto, e la mole del castellò eretto da Carlo d’Angiò, sede dei vari feudatari, che ressero ed angariarono la cittadina, sino a quando neli”800 fu acquistato ed abitato dai conti Luigi e Girolamo Giusso; poi« divenne sede di un Noviziato dei Padri Gesuiti, ora invece è uri complesso residenziale, per lo più estivo.
L’ ex-cattedrale, situata su uno dei punti più panoramici ed ormai diventata il logo stesso della cittadina, si presenta a tre navate con abside pentagonale; ha subito trasformazioni e restauri nel corso dei secoli, ma conserva testimonianze artistiche, tra cui nella sacrestia i ritratti dei vescovi che si sono succeduti nell’antica diocesi sino al famoso mons. Michele. Natale, martire della Repubblica Napoletana del 1799. Qui riposa anche il noto legislatore Gaetano Filangieri, autore della Scienza della legislazione, morto nel 1788, ospite della sorella nel vicino castello. Tale complesso fu più volte rimaneggiato ed ingrandito: la parte medievale, rivolta completamente verso il mare, consiste in un grosso volume terrazzato, mentre il resto del complesso ed il parco sono dovuti ai progressivi ampliamenti apportati dai vari feudatari e dai successivi proprietari.
Lasciato il centro storico, ricco inoltre di testimonianze architettoniche ed artistiche di varie epoche, ci si inoltra nel centro urbano, accresciutosi dall’800 ad oggi con un’espansione continua e talora irregolare, per giungere nell’unica piazza, in cui campeggia un’artistica fontana ottocentesca, caratterizzata da tre delfini che sorreggono una coppa da cui zampilla l’acqua.
Ma bisogna percorrere la via Raffaele Bosco, che cinge ad anfiteatro tutte le borgate ed i casali,, per rendersi conto delle rinomate attrattive paesaggistiche di Vico Equense, definito da Mario Stefanile “paese dai cento panorami”, uno stupendo scenario di verde e di azzurro, di baie e di spiagge, di rocce e di olivi, una inesauribile miniera di grazia e diletto per chiunque verrà nella costiera sorrentina. In questi luoghi, nel corso dei secoli, vissero o sostarono artisti e poeti, pittori ed intellettuali, quali Clemente Gattola, Paolo Regio e Giambattista della Porta, Bartolomeo Intieri e Antonio Genovesi, Luigi Serio e Michele Natale, Girolamo Giusso, don Pinuzzo e Toto Aponte, Giuseppe Grieco e Gianni Barrella, Antonio Asturi e. Michele Prisco e tantissimi hanno trovato riposo, serenità, ispirazione per le loro opere o motivo di meditazione. Una vacanza a Vico Equense è un’esperienza ricca ed appassionante, che lascia il segno per le, bellezze del paesaggio, la dolcezza del clima,- l’incanto del mare, la serenità dei boschi e delle colline, la ricca e varia gastronomia locale, l’articolata industria casearia, l’olio, il vino e il limoncello e, non ultimo, un variegato patrimonio artistico, I’Antiquarium, il Museo mineralogico campano, il Museo artistico di S. Vito,, la cappella trecentesca di Massaquano, con gli affreschi di scuola giottesca e tante altre testimonianze di arte maggiore e minore sparsa nel vasto territorio.

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